sabato 20 settembre 2008

UN MAESTRO DEL FUOCO


Gualtiero Marchesi
c/o L'Albereta Relais & Château
Erbusco, BS
Tel. 0307 760562
http://www.marchesi.it/



Abbiamo avuto il privilegio di incontrare di nuovo la cucina di Gualtiero Marchesi.
Scrivere qualcosa di nuovo su di lui è praticamente impossibile: esiste il rischio di ripetere frasi altrui o, peggio, di essere banali.
Ma non si può non esprimere la straordinaria avventura sensoriale che si vive esplorando le proposte di un menu che ha le radici nella migliore tradizione gastronomica italiana coniugata alla creatività ed all'uso sapiente del fuoco.
Sì, perchè in un mondo popolato da cuochi ipertecnologici, che utilizzano apparati più o meno sofisticati, senza per altro nulla togliere alle loro ricerche, incontrare chi usa il buon vecchio affidabile controllabile fuoco è un dolce ritorno a quei valori che fanno parte della nostra cultura.

Un piatto per tutti, sorprendente: il rognone a la cocque! Cotto in casseruola, di rame ovviamente, a fuoco lento, avvolto nel suo grasso, ha mantenuto i sapori delicati, dimostrando come un ingrediente povero possa assurgere ai massimi livelli. 95/100

Tra gli antipasti, uno ha raggiunto e superato, se fosse possibile, l'eccellenza: il dripping di pesce, una delle preparazioni classiche di Gualtiero Marchesi. Arriva in tavola un quadro di Pollock!
Un piatto quadrato, nero, ospita un denso laghetto giallo a base di delicata maionese, sul quale galleggiano molluschi saporosi appena scottati; qua e là, gocce sparse verdi, nere e rosse rendono il piatto astratto, che poi si rivelerà terribilmente concreto. Hai quasi il timore di toccarlo, non desideri rovinare l'opera d'arte.
Porti alla bocca una seppiolina minuscola e raschi un poco la superficie del lago, che come per incanto si anima e si modifica, mostrando altri intrecci di colori; e i cambiamenti continuano, man mano che si procede nello smontaggio della composizione, che si deve pur assaporare!
Alla fine, ognuno avrà creato un nuovo quadro ed un nuovo piatto!
E si rimane senza parole, anche perché, nel frattempo, si è completamente assorbiti dalle emozioni che la bocca trasmette. 98/100

Citiamo solo due piatti di un menu ricco ed entusiasmante, perché sono quelli che rimarranno più a lungo nella memoria.
La citazione di un quadro di Pollock è d'obbligo:


I vini sono stati all'altezza, scelti con cura hanno sposato perfettamente le preparazioni.
Un Villa Bucci Riserva 1997, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Doc di Bucci, per gli antipasti ed i primi, ed un Barbaresco Rombone 1997 Docg di Fiorenzo Nada per i secondi carne.
Il Verdicchio era superlativo, ricco ed elegante, equilibrato e profondo; il Barbaresco coniugava la seta con il fruttato, mantenendo doti di freschezza notevoli.

venerdì 19 settembre 2008

UNA CENA DA AIMO E NADIA

Il Luogo di Aimo e Nadia
Via Montecuccoli 6, Milano
Tel. 02 416886
http://www.aimoenadia.com/


Attratti dalla fama e dalle polemiche seguite al numero di stelle Michelin tolte e ripristinate, abbiamo fatto visita ad uno dei locali storici della gastronomia milanese.
Con tutto il profondo rispetto che nutriamo per chi ha fatto la storia della cucina italiana, ci permettiamo d'esprimere il nostro parere, con umiltà non disgiunta dalla convinzione di avere il diritto di criticare anche i mostri sacri.
Abbiamo trovato una cucina ben curata ma sostanzialmente monocorde, cioé priva di quei guizzi saporosi che provocano e lasciano ricordi indelebili.
Abbiamo scelto il menu degustazione, non addentrandoci nella scelta dei piatti esposti con chiarezza nel menu: se il giudizio tiepido è dovuto al tipo di menu scelto, ce ne doliamo, ma allo stesso tempo rimarchiamo che il menu degustazione è, in genere, il più rappresentativo ed asaustivo di una cucina.

Le preparazioni:


  • Uno stuzzichino costituito da un'alice marinata con ginger e lime, guarnita da pesto di erbette e cuori di carciofi crudi: anteprima delicatissima ed allo stesso tempo ricca di sapori, ove l'alice soave si sposa con la stimolante crema di ginger. 95/100

  • Crema di primizie dell'orto con burrata pugliese: un laghetto verde brillante nasconde la sorpresa della burrata, che sciogliendosi in bocca esalta la lieve aromaticità della crema; un piatto che ricorda i profumi di campagna, che fa ritornare indietro nel tempo, alle fanciullesche puntate nell'orto del nonno; manca tuttavia un qualcosa che stuzzichi le papille e che appaghi, oltre al fatto che forse è una preparazione troppo greve per iniziare un pasto. 84/100


  • Tortelli di farina di grano bruciato ripieni di cicale di mare e ricotta di bufala, conditi con melanzane stufate e calamaretti: un piatto di nuovo delicato, dai sapori marini appena accennati, che lentamente e con difficoltà si sviluppano in bocca; la sfoglia della pasta è gradevolmente ruvida e saporosa, anche se l'avremmo preferita più al dente; il finale leggermente acido rende il piatto gradevole e lo riscatta in parte. 86/100


  • Rombo chiodato con crosta di panzanella con verdure scottate sulla piastra e finocchietto marinato in insalata: piatto "piatto", sia perché il pesce, troppo cotto, non aveva sapore, sia perché manca un qualsivoglia contrappunto saporoso. 82/100


  • L'agnello - lombatina con erbette, filetto, confit e patata ripiena di fegatini d'agnello - con asparago d'Altedo avvolto nel prosciutto crudo di Cormons: ogni tipologia di cottura esalta i sapori che fuoriescono prepotenti dalla carne, ora delicati ora speziati; sorprendente il piacere procurato dai fegatini, per la prima volta assaggiati. Un piatto sapiente. 93/100


  • Assaggi di formaggi - taleggio, caciocavallo, gorgonzola Dop - con mostarda d'anguria fatta in casa: gradevole tris, reso piacevole dalla mostarda che ha in parte nobilitato il piatto; la scelta sottotono dei formaggi, seppur ottimi nella loro tipologia, sconcerta, visto il locale che la propone . 86/100


  • Predessert - raviolo di melone farcito con frutto della passione: due impalpabili fogie di melone, gelate, racchiudono il dolce acidulo del frutto, per pulire e rinfrescare la bocca.


  • Dessert - spuma di formaggi su cialda: è arduo cercare di ricordare quali sensazioni, a distanza di qualche ora, siano state provocate dal piatto, che si potrebbe definire "noioso". 82/100




Nella carta dei vini, curata dall'ottimo Sommelier Federico Graziani, ci si può perdere, talmente è ricca ed articolata; ci ha attratto uno champagne rosato, Larmandier-Bernier, che ha accompagnato i primi due piatti, oltre ad aver assolto la funzione d'aperitivo. Ha un colore rosa vivo, intenso, che ricorda i rosati del Salento; è vinoso, fruttato con ricordi di lampone e di frutti tropicali, tra i quali spicca quello della passione; si nota il melograno ed una lieve tannicità; sorprende la mancanza d'acidità, che rende questo vino piatto ed in parte deludente. 86/100





La carta dei vini ha una sezione dedicata alle bottiglie di una certa età, finalmente! Abbiamo scelto un Soave Classico Doc 1988 dei Fratelli Pra, dal sorprendente colore oro pallido brillante; le note ossidative sono impercettibili, la terziarizzazione è lieve; i profumi di fiori e di frutta fresca sorprendono; in bocca si percepiscono pesca bianca, albicocca un poco acerba, fieno appena essicato, frutta candita e miele di fiori di campo; in bocca è meno ricco che al naso; si direbbe che abbia superato il momento di massimo splendore e stia lentamente scadendo: qualche anno fa sarebbe stato sicuramente eccezionale. 88/100

Con i formaggi è stato servito il Chateau Las Collas 1961 Mouscat-de-Rivesaltes Aoc di Jaques Balbé, un vino fortificato del Sud della Francia ottenuto da due varietà di uve moscato, a grani piccoli o "blanc" e a grani grossi o "romain": interessante, ricco e tostato, aromatico e moderatamente dolce, giustamente ossidato, avvolgente e dall'equilibrata alcolicità; ha letteralmente soffocato i formaggi, escluso l'erborinato. 88/100

Il Luogo di Aimo e Nadia - nel quale il servizio in sala curato dal mâitre Nicola Dellagnolo, coadiuvato dal giovane Alessandro Tapparo, è semplicemente perfetto nella sua puntualità e discrezione - ci ha in parte delusi; ci si aspettava una cucina da ricordare a lungo, piena di emozioni che invoglia ad essere frequentata più volte; abbiamo, invece, incontrato una serie di preparazioni ovattate, quasi monocordi per l'assenza di spunti saporosi; le stesse materie prime, dalla scelta eccellente oltre che freschissime, sono state in parte mortificate, non hanno sviluppato tutto il loro potenziale.
In conclusione, una cucina per certi versi rassicurante nella sua "tranquillità", ma priva di quel qualcosa che la renda unica ed indimenticabile.

giovedì 18 settembre 2008

INCONTRO MEMORABILE

Ristorante Le Robinie
Località Ca' d'Agosto, Montescano PV
Tel. 0385 241529
http://www.lerobinie.net/

Seguendo le indicazioni, da Stradella si raggiunge Santa Maria la Versa e da qui, lungo una strada che taglia i vigneti secondo percorsi sinuosi che invitano a godere del paesaggio, si arriva ad una costruzione in legno, moderna ma inserita armoniosamente nella natura.
Siamo nel regno di Enrico Bartolini, che da poco gestisce il locale.
Arredo moderno, talvolta contradditorio; due sale, delle quali una interamente vetrata che s'affaccia, come prua di nave, sul digradare della collina, interamete vitata; ed in lontananza, a perdita d'occhio, lo stupendo paesaggio dell'Oltrepo segnato dalle viti, così regolari e geometriche, che inducono tranquillità.
Ma le sorprese non finiscono qui, poiché è sufficiente scorrere il menu ampio - non solo per le proposte culinarie ma anche per le ragguardevoli dimensioni del foglio - per comprendere che ci si trova in un piccolo tempio dell'arte dei fornelli. Ben tre menu degustazione sono seguiti dall'elenco di piatti che solo nelle descrizioni creano una sorta d'angoscia, positiva s'intende: non si sa quale scegliere! La carta dei vini è abbastanza ampia ed articolata, con buona scelta di bottiglie italiane e straniere; sorprende la presenza di birre di notevole fattura e la meditata rassegna dei superalcolici.

Si materializza Enrico, al quale chiediamo di farci una panoramica esaustiva della sua cucina: provocato, mascherando la propria felicità con la naturale timidezza, ci dice con fare gentile che ci penserà lui; noi dovremo solo degustare.
Il maitre, Simone Cucchiarelli, è gentile, educato, premuroso, preparato e competente, spiega in modo esauriente i piatti che ti porta; in una parola, un vero completo professionista, come per altro i suoi aiuti.

Abbiamo avuto il piacere di degustare:


Filetto di manzo crudo al coltello con salsa d'uovo al curry e sorbetto di mandorle. Due differenti qualità di curry, una sulla carne e l'altra come cornice alla composizione, alternano le note piccanti a quelle speziate, completandosi a vicenda e sposandosi perfettamente alla succulenza del filetto. 90/100


Rognone arrosto con patata soffice alla verbena. Quattro bocconcini croccanti profumati si aprono inondando la bocca di sapori soavemente aciduli. 88/100
Gnocchi morbidi di ricotta, burro e cavolo croccante. Il trionfo della delicatezza e dell'impalpabile armonia dei sapori semplici; sorprende l'intuizione di usare in modo alternativo questo formaggio. 90/100


Grissini bolliti con salsa cibreo e polvere di salvia. La genialità del cuoco unita al coraggio dell'invenzione! La pasta del pane è brevemente lessata in brodo di cappone, per mantenere la giusta consistenza e per acquisire sapore; i grissini sono posti nel piatto su un velo di salsa cibreo, resa celebre da Caterina de' Medici per averla esportata in Francia in seguito al suo matrimonio con Enrico II. La ricetta rinascimentale è stata destrutturata con sapienza:ai fegatini, creste, bargigli e cuore di pollo sono state aggiunte sottili fette di uova embrionali marinate in aceto e zucchero per eliminare la pellicola. Una preparazione entusiasmante, della quale si conserva a lungo il ricordo delle differenti sensazioni tattili: la consistenza della pasta e la farinosità saporita delle uova. Un piatto che vale il viaggio per raggiungere Enrico, forse l'emblema della sua cucina. 96/100


Riso antico mantecato al gelato di rape rosse e salsa al gorgonzola. Ci ha deluso per l'eccessiva liquidità e per la mancanza di sapori contrastanti; Enrico s'è impegnato a rifarci il piatto un'altra volta e torneremo, non solo per questo. 81/100


Guancetta di vitello con verdure fuori stagione. Il titolo è provocante e la presentazione minimalista lascia stupiti. La croccantezza della carne unita alla ricchezza di umori comunica sensazioni tattili contrastanti ed entusiasmanti, che saturano il cavo orale ed accontentano i sensi. 94/100


Coscia d'oca croccante con patate al fegato grasso.
Preparazione saporosa, equilibrata, speziata, aromatica, completa e complessa. Il fegato aggiunge una nota quasi esotica; avremmo preferito le patate più asciutte, meno banali. 92/100

Ciocco colato e aceto balsamico. Accostamento azzardato che lascia senza parole e con la sensazione di saturazione in bocca. Per noi, amanti drogati del cacao, è stata una sorpresa entusiasmante, che ci ha convinto, se ce ne fosse stato ancora bisogno, delle notevoli capacità dello chef e del pasticcere. 92/100


Crema bruciata con mirtilli ghiacciati e meringhe.
L'ultima struggente sorpresa, perché sotto una crosta di crema caramellata appena tiepida si celano mirtilli saporosi e ghiacciati impreziositi dalla meringa; ancora una volta i semplici ingredienti sono nobilitati dall'accostamento e dalla maestria nel lavorarli. 92/100

Ci hanno accompagnato alcuni vini:
Ci hanno proposto come aperitivo un Metodo Classico Oltrepo Pavese "Le Robinie" 2003, da uve pinot nero clone champagne, leggermete rosato: interessante e sorprendente, sia per la struttura sia per l'equilibrata acidità. Beverino, secco e pulente. S'è accostato anche ai primi due piatti con facilità e soddisfazione. 79/100
Poi, è stata la volta di una Ribolla Gialla Igt 1999 Gravner: minerale, speziata e balsamica, lievemente tannica, ricca ed elegante, anche se un poco timida nell'aprirsi; nel bicchiere, s'è evoluta, aggiungendo sensazioni vegetali e varietali uniche, unite ad un corpo di riguardo ed a ricordi di frutta bianca matura, talvolta candita. Accompagnata agli gnocchi ed ai grissini bolliti ci ha regalato emozioni, che non si sono fatte attendere anche con la guancetta di vitello. 92/100

Di nuovo, ci hanno suggerito un vino che si dimostrerà perfetto, sia come fattura sia come compagno dei piatti a seguire: Tuderi Romangia Doc 2003 di Dettori, un cannonau in purezza, non filtrato, affinato in vasche di cemento ed in bottiglia.
Nonostante la giovane età e l'annata, il 2003 fu un anno torrido e problematico, siamo in presenza di un vino rotondo, vellutato, fruttato, carezzevole ed elegante; le note speziate tipiche del vitigno perfettamente espresse, ma senza quella sensazione greve che spesso accompagna il cannonau. Si deve riconoscere che accostarlo alla guancetta di vitello ad alla coscia d'oca è un'intuizione felice. 90/100

Dopo un pranzo memorabile, abbiamo avuto la possibilità, ed il privilegio, di intrattenerci un poco con Enrico, per conoscerlo meglio e discutere i piatti; dall'incontro scaturisce la ferma convinzione di trovarsi al cospetto di un maestro, con una preparazione tecnica di tutto rispetto e con notevoli potenzialità. La scelta delle materie prime, le cotture sapienti e la cura scrupolosa delle composizioni testimoniano il profondo rispetto per i prodotti e la vasta cultura, non solo gastronomica. Ci ha colpito la modestia e la disponibilità a discorrere delle preparazioni, il desiderio costante d'imparare e perfezionarsi.
Enrico Bartolini si muove leggero come una piuma tra le preparazioni, crea una cucina sottile ed elegante, ordinata e sorprendente, ma - pare una contraddizione - rassicurante.

BRUNELLO: UNA STORIA INFINITA ?

Riporto uno scritto di Angelo Gaja.

Il caso Brunello di Montalcino
Nella decade sessanta i vigneti di Sangiovese atti a produrre Brunello di Montalcino non raggiungevano i 60 ettari, i produttori una ventina, le bottiglie prodotte non più di 150.000; nello stesso periodo gli ettari piantati a Nebbiolo nell’area del Barolo erano 500, 115 i produttori/imbottigliatori, 3.000.000 le bottiglie di Barolo prodotte annualmente. Mentre però il Barolo non aveva un leader il Brunello di Montalcino aveva già in Biondi Santi un padre fondatore, l’artigiano che nel tempo aveva tenuto altissima la bandiera della qualità e del prezzo di un Brunello aristocratico, raro, prezioso, alla portata soltanto dei pochissimi che se lo potevano permettere.

E poi arrivò Banfi
Per capire come sia esploso il fenomeno del Brunello di Montalcino non si può prescindere da Biondi Santi e da Banfi. Banfi, di proprietà dei fratelli americani Mariani distributori di vini sul mercato USA, innesca nella rossa Montalcino il sogno americano: il futuro è vostro amico, crescete e moltiplicatevi.
L’avventura inizia con una serie di errori clamorosi.
Con il benestare delle amministrazioni locali e dei sindacati agricoli i siti da destinare a vigneto vengono letteralmente stravolti, boschi e querce secolari abbattuti, colline abbassate di decine di metri…; con l’assistenza dei guru della viticoltura vengono introdotte tecniche colturali che stanno agli antipodi della coltivazione accurata della vite; anziché piantare Sangiovese per produrre Brunello di Montalcino vengono piantati 500 ettari di Moscadello per produrre una specie di lambrusco bianco che non avrà successo. L’impresa sembrava volgere verso un fallimento clamoroso.
E invece, miracolo, dopo lo sbandamento iniziale Banfi prende atto degli errori commessi, attua con tempestività la riconversione dei vigneti, punta con grande decisione alla produzione del Brunello di Montalcino e diventa il motore trainante della denominazione costruendo sul mercato USA, il più importante al mondo per i vini di immagine e di pregio, una forte domanda che ben presto ricade sugli ignari produttori di Montalcino e si propaga in tutto il mondo.

Nessun’altra DOCG italiana ha la fortuna di avere un leader storico ed un leader di mercato come il Brunello di Montalcino. Grazie ad essi montò l’interesse, da parte di produttori/investitori italiani ed esteri, di venire a tentare l’impresa a Montalcino contribuendo così a consolidare la straordinaria spinta di crescita e di affermazione della denominazione sui mercati internazionali.

Oggi gli ettari di Nebbiolo iscritti all’albo del Barolo sono 1.800 mentre quelli di Sangiovese riconosciuti idonei alla produzione del Brunello sono diventati 2.000 - e sì che i produttori hanno cercato di frenarne la corsa introducendo il blocco degli impianti – 250 i produttori e 7 milioni le bottiglie prodotte annualmente.

E’ stato da più parti fatto osservare che la maggioranza dei nuovi vigneti non possiede caratteristiche pedoclimatiche tali da assicurare al Sangiovese di esprimere vini di eccellenza e si è lamentata la mancata zonazione (catalogazione scientifica dei terreni con la delimitazione di quelli vocati e di quelli no): ma la zonazione in nessuna parte del mondo – ad esclusione forse della Borgogna che riconosce però non una, ma oltre cento denominazione d’origine diverse - è diventata il principio ispiratore dei disciplinari di produzione. Meno che mai in Italia ove si è più propensi a coltivare la solidarietà e la compiacenza.

Oggi a Montalcino c’è una minoranza di produttori che gode di un doppio privilegio: di avere vigneti iscritti all’albo ed in più di possedere vigneti di Sangiovese altamente vocati capaci di esprimere vini di eccellenza. E poi esiste una maggioranza di produttori che gode a pieno titolo soltanto del primo privilegio. Sia dagli uni che dagli altri i consumatori si attendono un Brunello di Montalcino di elevata qualità.

Il disciplinare di produzione, redatto nella decade sessanta, quando gli ettari iscritti all’albo erano ancora una sessantina, impone il 100% di Sangiovese per la produzione del Brunello di Montalcino. Con l’esplosione della superficie vitata la maggioranza dei produttori in possesso di vigneti di dubbia vocazione avvertiva la necessità di migliorare la qualità dei loro vini e apparve ai più evidente che l’imposizione del 100% di Sangiovese risultasse penalizzante.
Si ritenne che il miglioramento genetico del Sangiovese attraverso la selezione clonale e l’introduzione di nuove tecniche di vigneto e di cantina avrebbero cambiato la situazione, mentre invece la questione resta sul tavolo oggi come allora.

Se le indagini che la magistratura ha in corso accertassero l’impiego di varietà diverse dal Sangiovese per la produzione del Brunello di Montalcino, la mancanza più grave commessa dai produttori sarebbe stata a mio avviso quella di non essersi adoperarti prima per modificare il disciplinare di produzione e rimuovere il vincolo del 100% di Sangiovese.

Voglio ricordare che il disciplinare del Rosso di Montalcino è ancora più inadeguato, presuntuoso e fuori del tempo. I disciplinari di produzione si possono modificare ed il compito spetta esclusivamente ai produttori. Ad ostacolare la modifica del disciplinare è il conflitto di sempre tra i produttori artigiani ed i produttori di grandi volumi, ispirati come sono a filosofie di produzione e a strategie di vendita diverse.

Se si guarda però allo strepitoso successo del Brunello di Montalcino, occorre riconoscere che è nato dall’azione sinergica degli uni e degli altri, che gli uni e gli altri sono stati preziosi nel procurarlo e consolidarlo.
Ho letto che si ritiene inadatto ora un intervento atto a modificare il disciplinare di produzione del Brunello di Montalcino, quando l’indagine avviata dalla Magistratura è ancora in corso. A mio avviso è invece arrivato il momento di pensare seriamente al dopo cominciando dalla modifica del disciplinare; essa richiede coraggio, tolleranza e rispetto reciproco da parte dei produttori.

Occorre individuare una formula che consenta agli artigiani di esprimere nei loro vini la straordinaria dignità del Sangiovese e di poterla dichiarare in etichetta rendendo così riconoscibile la loro fedeltà al 100% della varietà, ed ai produttori di grandi volumi di poter operare con maggiore elasticità: e tutti e due i vini debbono potersi fregiare del nome Brunello di Montalcino".

Angelo Gaja
26 agosto 2008