giovedì 16 febbraio 2012

IL VIALE DEL TRAMONTO

Quella bottiglia sarà aperta quando ....
Quante volte abbiamo detto questa frase, aspettando l'OCCASIONE! Che poi non è mai giunta. E così lei, la bottiglia, se ne sta nascosta nel fondo dello scaffale, sorniona, ad aspettare, paziente. Ma non se ne sta con le mani in mano, lavora, s'evolve, matura, si modifica, mentre noi ASPETTIAMO L'EVENTO.
Poi, un bel giorno, decidiamo: oggi ti apro!
TROPPO TARDI!
M'è capitato con una preziosa bottiglia di Gaston Chiquet Millésime Special Club Premier Cru 1997, sboccata il 18 luglio 2005, Chardonnay 70% e Pinot Noir 30%.
Ho perso l'attimo fuggente, l'ho aperta quando ormai l'evoluzione s'era ampiamente conclusa.
Un buon vino bianco, con sentori di cacao, caffé, te, accompagnati da lontani ricordi di frutta matura, forse tropicale. Gradevole la leggera ossidazione, il tappo era perfetto, unita alla delicata trasformazione delle note di lievito in sensazioni di tostato.
Il corpo s'era pressoché dissolto, così come l'effervescenza. Il colore s'era mantenuto sui toni dell'oro pallido.

Un'occasione perduta!
Qui si può leggere più o meno tutto sullo Special Club.

martedì 14 febbraio 2012

DELLA SERIE L'ALCOL FA MALE...

Pensavo di aver visto più o meno tutto. Ero preparato a non stupirmi più di nulla. Mi sentivo come il cyborg di Blade Runner:"voi umani...."
Poi, prepotente m'arriva la notifica di una cosa che ha dell'incredibile, sia per i contenuti sia per il perfetto pessimo gusto: "Possession, unholy wine collection".
Incuriosito, risalgo al sito che riprende la notizia ed ecco le immagini, che si commentano da sole.



“Evil Demon – Bloody Shiraz”, “Haunting Ghost – Spoory Cabernet”, “Old Witch – Cursed Pinot Noir” sono i nomi che sono stati attribuite a queste bottiglie da collezione [ma chi la fà?] da un genio del marketing.

Per fortuna, il vino ha le spalle talmente grosse che può arrivare a sopportare anche quest'operazione.
Viene, però, spontaneo considerare che talvolta si assaggiano dei vini che sono, quelli sì, morti.
Questi come saranno? Già in decomposizione? Da riesumare? Da seppellire?
MAH!

domenica 12 febbraio 2012

C'È ANFORA E ANFORA ….

Ricerche storiche affermano che il vino sia nato a sud del Caucaso, taluni affermano 6000 anni fa, altri 5000; tutti concordano sui recipienti utilizzati, giare di terracotta più o meno grandi.
In Georgia, che vanta l'impressionante numero di più di 500 varietà differenti di vite, si continua ad usarle, perpetuando antichi saperi, se non addirittura antichi sapori.
Una quindicina d'anni fa uno dei personaggi più controversi del mondo vinicolo, Josco Gravner, iniziò a sperimentare l'uso delle anfore interrate, con risultati spiazzanti ed entusiasmanti, ben presto seguito da altri produttori.
Poco tempo fa ho avuto l'opportunità di confrontare questa procedura applicata a qualche vino georgiano con altrettanti italiani: di seguito le degustazioni.


Prince Makashvili Cellar
Rkatsiteli 2006, Grand Cru Tsarapi
Rkatsiteli 2007, Clos des Figuiers
Questa varietà d'uva bianca dal nome impronunciabile è tra le più diffuse, qui vinificata secondo l'uso della Kakhetia, la zona più orientale: nelle anfore è fatto fermentare il mosto in presenza delle vinacce, per periodi che possono arrivare ai 6 mesi. I vini assaggiati denunciavano quest'uso, così ricchi di tannini, per altro non particolarmente aggressivi; l'acidità era mediamente alta, accompagnata da corpi medi, in parte riscattati dal grado alcolico un poco fastidioso. I profumi erano non del tutto puliti, definirei grezzi e grevi, con accenni a frutta mediamente matura, appena speziati.

Dello stesso produttore, è stato degustato il Saperavi 2006, Grand Cru Akhoebi; uva rossa da agricoltura biologica, fatta macerare a lungo sulle bucce; il vino si propone con un colore rosso intenso fitto, decisamente gradevole; i tannini corposi abbastanza persistenti non erano particolarmente aggressivi e si sposavano abbastanza bene con la discreta acidità. Anche in questo caso i profumi rimandavano a ricordi di terra e di fieno appena umido, di frutta matura, di spezie piccanti.

La rassegna è stata chiusa da un altro vino prodotto con uve biologiche, il Chardakhi 2008 di Iago Bitarishvili; le piante, di altre cinquant'anni, sono della rossa varietà Chinuri, pigiata con i piedi (così asserisce il bugiardino) e lasciata a lungo fermentare in anfora con le bucce. Imbottigliato nel settembre 2010, il vino non ha avuto il tempo d'ammorbidirsi, mantenendo aggressività e disarmonie ragguardevoli, al limite della potabilità; Nei fuggevoli momenti durante i quali si riusciva a dimenticare gli effetti devastanti, si potevano apprezzare le spezie mentolate ed il sapore dell'uva.

S'è trattato di un'esperienza interessante, che ha fatto andare indietro nel tempo, perché forse erano questi i vini che bevevano i nostri antenati, nel bene e nel male.

Il confronto con tre prodotti italiani è stato impietoso, forse perché siamo abituati ad altri sapori e profumi, a qualità frutto di continue sperimentazioni ed affinamenti.

L'Anphora Bianco 2007 del Castello di Lispida è ottenuto dalla fermentazione con lieviti propri dell’uva Tocai, in anfore di terracotta sepolte, con follature giornaliere, senza alcun controllo della temperatura; la macerazione sulle bucce prosegue per più di sei mesi, seguita dall'affinamento per 14 mesi in dolia di terracotta. Le caratteristiche tipiche del Tocai escono potenziate e prepotenti, in raro equilibrio; stupisce, nel panorama ricco e variegato, la finezza di fondo, l'estrema pulizia. Un vino naturale di valore.


Dal tormentato Carso proveniva il Vitovska 2006 Anfora di Vodopivec. Una vecchia conoscenza che ha confermato le potenzialità di quest'uva e la maestria nell'interpretarle. Il colore pieno e profondo introduce ai profumi intensi e modulati, che si susseguono senza fine; acidità perfetta, alcol equilibrato, componenti fruttate e floreali fuse con evidenti note balsamiche; il corpo si manifesta lento, poi si fa notare e sazia. Affascinante riconoscere le note varietali di un'uva che esprime appieno il proprio terrori.


Non poteva mancare l'indiscusso maestro nell'uso dell'anfora, Josko Gravner, con il suo Breg 2004, sapiente unione di Sauvignon, Chardonnay, Pinot Gris, Riesling Italico. Frutto della fermentazione e macerazione con le bucce per 7 mesi in anfore di terracotta interrate e del successivo affinamento per 4 mesi in anfore interrate, 36 mesi in botti grandi, 12 mesi in bottiglia. Raramente si sente la mancanza di aggettivi adatti, sia per numero sia per significato, a descrivere un vino: Breg riesce ogni volta a stupire ed affascinare, a farti intravedere cosa sarà in futuro, a farti maledire perché l'hai stappato troppo presto. Entra in bocca possente ma elegante, penetra nei ricordi di un mondo lontano, dimenticato ma non ancora perduto; coinvolgente, si fa fatica a separare le sensazioni, perché si vorrebbe gustarle ad una ad una.

Una sessione d'assaggi che ha sorpreso e rassicurato, che ha dimostrato come non sia tanto lo strumento che fa la differenza, ma la mano che l'utilizza.